Eppure, normare la “preparazione per il riutilizzo” significherebbe trattare per esempio elettrodomestici vari, computer, smartphone, biciclette, mobili, oggetti, materassi non come generici materiali al massimo da inviare a riciclo, ma come prodotti da riparare e da riutilizzare, dando loro una seconda vita senza complesse pastoie burocratiche che intervengono sempre quando si ha a che fare con i rifiuti. Basterebbe definire con rigore “semplici procedure” per garantire e standardizzare i processi di riparazione insieme ai prodotti riconquistati a seconda vita.
Ciò ridurrebbe non solo i rifiuti attraverso la realizzazione di centri di riparazione e riuso ma l’intera impronta ecologica necessaria, specialmente se comparata con la necessità di prelievi ed emissioni correlati all’acquisto di nuovi prodotti. Senza sottovalutare, poi, che quest’approccio darebbe impulso a piattaforme di smontaggio e montaggio, di riparazione e di commercializzazione in grado di fornire possibilità di piccole imprese (falegnamerie, sartorie, officine meccaniche, commercio di vintage e di prodotti usati) e quindi di posti di lavoro.
È lo stesso Ministero dell’Ambiente che nel 2015 ha affermato (in base ad uno studio svolto insieme al Centro di Ricerca “Occhio del Riciclone”) che il settore dell’usato, pur senza disporre di nessun aiuto pubblico, già allora “valeva” oltre 80.000 posti di lavoro a livello nazionale. Favorendolo con agevolazioni e semplificazioni crediamo che sia ragionevole prevederne il raddoppio nel giro di appena tre anni. D’altronde, in uno studio svolto nel 2007 da un centro studi negli Usa e riferito ai rifiuti prodotti dalla città di Los Angeles, si è “scoperto” che i rifiuti ingombranti che lì rappresentavano appena il 2% del totale rifiuti della città avevano un valore potenziale del 39% del valore economico dell’insieme di tutti i rifiuti.
In altre parole recuperare elettrodomestici, mobili, biciclette ecc. a livello economico è di gran lunga più remunerabile del riciclo e della vendita di carta, vetro, metalli, polimeri ecc. Ci si accorge così come i “bulky item” (gli ingombranti) siano un’altra di quelle “miniere di valore” indicate dalla stessa Ue per attivare in concreto l’economia circolare.
Ecco perché ancora richiamiamo l’opportunità del Recovery Plan non solo quale opportunità di finanziamento per questo settore (anche la digitalizzazione è funzionale al reperimento, allo scambio e/o vendita di tali prodotti dando sviluppo ad apposite app) ma anche quale necessità di opportune “riforme normative” tra l’altro a costo zero. Così, oltre al decreto attuativo di cui sopra, questa attenzione all’importanza dell’allungamento del ciclo di vita dei prodotti chiediamo che divenga occasione anche per l’approvazione di una legge sul modello di ciò che è avvenuto in Svezia, dove dal 2017 vengono forniti sgravi fiscali dal 25 al 12% per coloro che dimostrano di aver fatto riparare scarpe, biciclette, elettrodomestici, computer ecc.
Ma in Italia i decisori politici sono ancora affascinati dalle “rottamazioni” e dai Black Friday. Ecco perché ho ancora più apprezzato la sollecitazione della parlamentare Ilaria Fontana! Grazie dal Movimento Zero Waste!
Fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/01/25/la-seconda-vita-dei-rifiuti-salva-lavoro-e-ambiente-ma-manca-il-decreto-attuativo/6076987/