Mondo rurale: biodiversità fragile e nascosta
Al Vertice sulla Terra del 1992 a Rio de Janeiro, i leader mondiali definirono una strategia globale di “sviluppo sostenibile” finalizzata a garantire le esigenze di sviluppo assicurando però contemporaneamente un mondo sano e vitale da lasciare alle generazioni future.
Uno dei principali accordi adottati in quell’occasione fu la Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD).
La Convenzione di Rio rappresenta il primo strumento vincolante sulla conservazione della biodiversità, a partire da esso sono andate crescendo nel mondo le attività che hanno dato luogo ad accordi internazionali, strategie e politiche finalizzate alla conservazione della biodiversità.
Negli anni si è via via rafforzata la consapevolezza che la biodiversità costituisce uno dei fattori cardine dello sviluppo sostenibile ma parallelamente anche la coscienza che la sua importanza non è legata solo alla sostenibilità ambientale ma anche per quella sociale ed economica.
Negli ultimi anni le risposte istituzionali hanno tenuto sempre più conto di questo ampliamento della prospettiva: la conseguenza è stata che, nel definire gli strumenti da attuare per tutelare la biodiversità ed arrestarne la perdita, i principi della conservazione biologica si sono via via combinati con quelli dello sviluppo sociale ed economico.
Certamente un ruolo di primo piano per affrontare la sfida dell’arresto della biodiversità è nelle mani dell’agricoltura, che interessa quasi la metà del territorio europeo.
Per questo motivo si parla ormai di “Agrobiodiversità”, un settore rilevante e centrale della biodiversità che comprende tutte le componenti della diversità biologica di rilevanza per l’agricoltura: la varietà degli animali, delle piante e dei microrganismi a livello genetico, di specie e di ecosistema, necessaria a sostenere le funzioni chiave degli agroecosistemi, la loro struttura e i processi.
Già nel 1999 la FAO aveva incluso nella sua definizione anche una dimensione socio-economica e culturale, considerando le conoscenze tradizionali parte integrante dell’agrobiodiversità, che di fatto è il risultato dell’interazione tra ambiente, risorse genetiche, sistemi e pratiche di gestione adottate da popolazioni culturalmente diverse che, di conseguenza, utilizzano le risorse ambientali in modi diversi.
L’esistenza di un legame indissolubile tra diversità biologica e culturale è ormai assodata dalle principali organizzazioni internazionali e questa visione della biodiversità rispecchia l’approccio ecosistemico inteso come “strategia per la gestione integrata della terra, dell’acqua e delle risorse viventi, che promuove la conservazione e l’uso sostenibile in modo giusto e equo” (Unep – Decisione adottata dalla Conferenza delle Parti a Nairobi nel 2000).
Questo legame non è casuale: lungo millenni di coevoluzione tra l’uomo e l’ambiente, le società umane hanno sviluppato una profonda conoscenza della natura che le circondava e dalla quale traevano sostentamento, e hanno affinato tecniche e strategie per trarre dall’ambiente il necessario per vivere, imparando, allo stesso tempo, a preservare quella risorsa per le generazioni future. Questo bagaglio culturale si è rivelato essenziale nella gestione e nella conservazione della biodiversità.
Le politiche di sviluppo rurale rappresentano quindi lo strumento principale per la conservazione e la valorizzazione delle risorse naturali e paesaggistiche delle zone rurali, attraverso misure che agiscano in modo complementare e sinergico a vari livelli e con diversi meccanismi e affrontando il problema della conservazione della biodiversità in tutti i suoi aspetti (biologico, economico e socio-culturale) e a tutti i livelli (genetico, di specie e di ecosistema).